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Dopo che Schrödinger ebbe formulato la sua meccanica ondulatoria, vi fu un lungo dibattito (per non dire scontro) tra lui e Heisenberg, strenuo difensore della meccanica quantistica, formulata da egli stesso insieme a Born e Jordan. Fu poi lo stesso Schrödinger a dimostrare che le due meccaniche portavano a gli stessi risultati, anche se basate su presupposti diametralmente opposti. Mentre la meccanica di Schrödinger si fondava sull’idea dell’«onda di materia» introdotta da de Broglie, e considerava solo l’aspetto ondulatorio della materia, la meccanica di Heisenberg partiva esclusivamente dall’aspetto corpuscolare delle particelle.
Ma se, dopo la dimostrazione di Schrödinger, vi fu accordo sull’equivalenza delle due meccaniche, sull’interpretazione della realtà fisica sottostante non vi fu mai accordo, e Schrödinger, convinto sostenitore delle «onde di materia» non accettò mai l’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, né l’interpretazione probabilistica della funzione d’onda che compare nella sua equazione.
In una conferenza del 1958 a Ginevra, dal titolo “L’immagine attuale della materia,” Schrödinger espone tutto il suo pensiero sull’interpretazione della meccanica ondulatoria, criticando fortemente il concetto di particella come entità discreta dotata di individualità permanente, e i salti quantici teorizzati da Bohr (che Schrödinger considera parte di “un linguaggio tecnico quanto mai esoterico, il cui senso vero e semplice spesso è difficile da afferrare”).
Schrödinger dichiara subito, e senza mezzi termini, le sue intenzioni:
“Dovrò pregare Lor Signori di non credere né ai corpuscoli quali individui permanenti, nè ai fenomeni che si svolgono per salti, in seguito al passaggio d’un quanto di energia da un oggetto all’altro. Si tratta sempre di discretezza, ma non nel senso tradizionale di singole particelle discrete e ancor meno di fenomeni a scatti. La discretezza risulta unicamente come una base formale di calcolo delle leggi che presiedono a ciò che succede in natura.”
Dopo aver argomentato più in dettaglio il suo modo di vedere e le sue convinzioni su corpuscoli, onde, e salti quantici, conclude in questo modo:
“Se mi domandate infine: ma che cosa «sono» veramente questi corpuscoli, questi atomi, queste molecole? Io in fondo dovrei confessare onestamente che ne so poco. Ma per dire almeno una cosa, anche se non di gran peso: se non altro è lecito immaginare quei corpuscoli come enti più o meno transitori nell’ambito del campo d’onde, ma tali che la loro forma e molteplicità strutturale, nel senso più ampio della parola, siano determinate dalle leggi ondulatorie in modo tanto preciso, chiaro e persistente, che molte cose avvengono come se avessimo da fare con enti corporei duraturi. La massa e la carica delle particelle, che possono così essere indicate esattamente, devono essere comprese fra gli elementi di «forma» (Gestaltelementen) determinati dalle leggi ondulatorie. La conservazione macroscopica della carica e della massa dovrebbe essere concepita come un fatto statistico dipendente dalla «legge dei grandi numeri».”
Born, presente alla conferenza insieme a Rosenfeld, Auger e Compton, apre poi il dibattito così:
“La brillante esposizione di Schrödinger sullo stato attuale della fisica deve essere considerata, nonostante tutto, fondamentalmente erronea”, e prosegue poi spiegandone le ragioni e citando, fra le altre cose, il principio di complementarità di Bohr.
Principio che Schrödinger considera come fumo negli occhi, e lo spiega nella sua replica:
“Devo confessare che non lo comprendo. Per me si tratta di un’evasione. Non di un’evasione volontaria. Infatti si finisce per ammettere il fatto che abbiamo due teorie, due immagini della materia che non si accordano, di modo che qualche volta dobbiamo far uso dell’una, qualche volta dell’altra. Una volta, settanta o più anni fa, quando si verificava un tale fatto, si concludeva che la ricerca non era ancora finita, perché si riteneva assolutamente impossibile far uso di due concetti differenti a proposito di un fenomeno della costituzione di un corpo. Si è inventata ora la parola «complementarità», e ciò sembra voler giustificare quest’uso di due concetti differenti, come se non fosse necessario trovare finalmente un concetto unico, un immagine completa che si possa comprendere. La parola «complementarità» mi fa sempre pensare alla frase di Goethe: «Perché proprio dove mancano i concetti, si presenta al momento giusto una parola».”
Ribatte Rosenfeld:
“Tenterò di spezzare una lancia in favore del concetto di complementarità. Riprendendo la stessa citazione di Schrödinger, ma con una leggera trasposizione: «Perché proprio quando mancano le parole, si presenta un nuovo concetto al momento giusto»”
e prosegue spiegando che, secondo lui, il principio di complementarità non va visto come una contraddizione da risolvere nell’ambito della logica classica (cioè “sopprimendo uno dei termini della contraddizione”), ma piuttosto come “una contraddizione nel senso dialettico (seguendo lo schema classico di Hegel), che è qualcosa di più sottile; è la coesistenza di sistemi di concetti che descrivono ciascuno un aspetto della realtà. Beninteso, siccome sono contraddittori, non si pensa di impiegarli simultaneamente, in una stessa descrizione”.
Heisenberg, Born, Schrödinger , Auger - Discussione sulla fisica moderna - Einaudi 1959
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